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Pilar ed il suo babbo

Pilar ed il suo babbo
Quel giorno mi era andato tutto storto. Il capoufficio mi aveva fatto una lavata di capo per una colpa non mia, una collega stronza mi aveva beccato mentre le sbirciavo le cosce e mi aveva fatto fare una figura di merda e infine, dulcis in fundo, guidando verso casa mi ero beccato una multa perché ero passato col semaforo giallo.
Ero davvero di umore nero, e quando mia figlia Pilar, una diciottenne arrogante e viziata, mi ha risposto male non ci ho più visto e le ho mollato un ceffone.
Dovete sapere che sono vedovo ormai da molti anni e mi sono cresciuto questa ragazza tutto da solo. Non è stato facile, ma siamo sempre andati d’accordo e non ho mai avuto bisogno di usare le maniere forti con lei.
Cosicché la sua razione a quel mio s**tto d’ira è stato violentissimo ed ha cominciato ad insultarmi pesantemente.
Brutto bastardo! – mi ha urlato contro – non azzardarti ad alzare le mani su di me! Figlio di puttana, come osi schiaffeggiarmi? Sono maggiorenne ormai!
Urlava come una furia, tanto che io, nell’intento di calmarla, le ho mollato un secondo ceffone. Al che, lei ne ha mollato uno a me.
E’ stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ero cieco dalla rabbia, e per la prima volta in vita mia mi sono sfilato la cinghia dei pantaloni e, afferratala per le braccia, l’ho trascinata violentemente in soggiorno, dove l’ho sbattuta su una poltrona ed ho cominciato a dargliele di santa ragione.
Ero talmente accecato dall’ira che non ricordo neppure bene come siano andate esattamente le cose. Ricordo solo che ad un certo punto lei aveva i jeans abbassati fino alle caviglie mentre io, in piedi dietro di lei, le mollavo delle gran cinghiate sulle cosce nude.
Ricordo anche che, ad un certo punto, devo averle pure abbassato le mutandine, ed ho cominciato a darle delle gran sculacciate sulle chiappe nude mentre lei piangeva, più per la rabbia e l’umiliazione che non per il dolore.
E ricordo anche molto bene che ad un tratto, del tutto inaspettatamente, mi sono accorto con terrore che stavo per godere. Mentre sculacciavo quelle belle chiappe rotonde e sode, bianche e lisce, ho sentito il piacere risalirmi improvviso dai lombi, attraversarmi i testicoli, diffondersi per tutto il corpo e, prima che riuscissi in qualche modo a trattenermi, sgorgarmi dal pene inturgidito in lunghi ed interminabili fiotti.
Erano giorni che non mi svuotavo, e mi feci una goduta lunghissima che mi riempì le mutande e che, purtroppo, nel giro di pochi istanti, impregnò anche il tessuto dei calzoni spandendosi in una macchia scura impossibile da nascondere.
Pilar dovette intuire qualcosa giacché si voltò verso di me col viso coperto di lacrime; ma, accortasi di quello che mi era capitato, cessò immediatamente di piangere e scoppiò in una fragorosa risata.
In quel momento avrei voluto sprofondare in un buco nero e non riemergere mai più. Fui assalito dalla vergogna e, rosso come un gambero, cercai di farfugliare qualche improbabile scusa mentre mia figlia, ancora inginocchiata sulla poltrona con le mutandine sempre abbassate, mi guardava sorniona spostando lo sguardo dal mio viso alla macchia scura che continuava ad allargarsi sempre di più.
Allora? – mi fece poi indicando la macchia con un gesto del mento.
Che potevo rispondere? Tacqui, imbarazzato come uno scolaretto.
Vedo che ti è piaciuto sculacciarmi!
Bè, ecco , vedi, sai com’è…
Infilai una serie di stronzate senza senso.
Va bè, dai, vai in bagno a darti una sciacquata e portami quei calzoni che vedo se riesco a dargli una ripulita. Certo che, a giudicare dalla macchia, dovevi proprio averne bisogno. Povero babbo, la colpa è mia. Per potermi stare dietro hai dovuto rinunciare alla tua vita, a farti una donna. Mi dispiace, davvero.
Ma no, ma cosa dici, tu non c’entri. Non so cosa sia capitato. Davvero, non capisco.
Non c’è molto da capire, basta guardare i tuoi calzoni.
Si rivestì, si asciugò le lacrime che ancora le rigavano il viso e, dandomi una leggera carezza sulla guancia, si allontanò.
Nei giorni seguenti nessuno dei due fece cenno a quanto era accaduto. La vita riprese normale, solo Pilar si era fatta più gentile e non mi rispondeva più in maniera villana. Era anche più affettuosa e di tanto in tanto mi faceva qualche tenerezza.
Una sera tornai a casa più depresso del solito. Le cose in ufficio andavano male e rischiavo di perdere il posto. Glielo dissi e lei si mostrò molto comprensiva.
Posso fare qualcosa per te?
No, piccola, purtroppo tu non puoi fare niente.
Non prendertela, babbo, sei un uomo in gamba e vedrai che te la caverai.
Certo, stai tranquilla, in qualche modo ce la caveremo.
Davvero non posso fare per nulla per aiutarti?
Temo proprio di no.
Magari ti farebbe bene sfogarti un po’.
La guardai con aria interrogativa. In quel momento eravamo a tavola, avevamo appena finito di cenare
Ma si, dai, quando uno è depresso e incazzato, sfogarsi fa bene. Lo sai cosa intendo.
No, non lo so.
Fece per aggiungere qualcosa, poi cambiò idea.
Stavamo sparecchiando il tavolo di cucina, quando riprese l’argomento.
Volevo dire, prima – pareva piuttosto imbarazzata – che, se ti fa piacere e se ti può aiutare, con me ti puoi sfogare. Capisci cosa intendo dire?
Davvero non capivo, per cui la guardai con l’aria un po’ tonta.
Insomma, voglio dire… ti ricordi, quella sera dell’altra settimana, quando io ti ho fatto incazzare e tu me le hai date con la cinghia e poi mi hai schiaffeggiato il culo nudo… ebbene…
Ebbene, cosa?
Ebbene, se vuoi, lo puoi rifare!! Cazzo, ma sei duro di comprendonio! Devo proprio dirti tutto! Visto che ti è piaciuto parecchio – ci ho messo mezz’ora a smacchiare quei maledetti calzoni, erano fradici – io, se vuoi, te lo faccio fare di nuovo. Insomma, per dirla tutta, se ti fa piacere mi puoi picchiare fino a quando non ti sei svuotato. Adesso è chiaro?
Cazzo se era chiaro!
Perché vuoi fare questo? – le domandai.
Perché ti voglio bene, babbo, e ti vedo triste, affranto e depresso e la cosa mi fa stare male. Preferisco prendere un po’ di botte che vederti così.
Ti lasceresti davvero picchiare?
Certo, te l’ho proposto io. Basta che tu non mi faccia troppo male.
Come potrei farti male? Sei la mia adorata bambina.
E allora sfilati quella maledetta cinghia e sfogati un po’!
Mi prese per la mano e mi condusse in soggiorno dove si abbassò i jeans fino alle caviglie poi, inginocchiatasi sulla poltrona, mi offrì il suo bel culetto rotondo fasciato da un paio di sottili culottes di raso rosa.
Forza babbo – mi incitò – picchiami. Dammele con la cinghia, con le mani, come preferisci. Picchiami sulle cosce, sul culo, dove vuoi tu. Se vuoi puoi abbassarmi le mutandine e mi puoi picchiare sul culo nudo. Forza babbo, sfogati con la tua bambina; puoi farle tutto quello che vuoi.
Devo dire che all’inizio ero alquanto perplesso. Quella cosa non mi piaceva, avevo paura. Non sapevo dove quel gioco ci avrebbe condotto e temevo che ci conducesse su territori pericolosi.
Ma vederla così, inginocchiata sul divano col culo per aria, quello splendido culo rotondo e sodo, e sentirla dirmi quelle cose, offrirmisi in quella maniera, mi fece perdere letteralmente la testa.
Cercando di non farle troppo male la picchiai a lungo. Con le mani nude e con la cinghia. La picchiai sulle cosce e sul culo. Le arrotolai la maglietta sulle spalle e la picchiai anche sulla schiena dandole delle belle cinghiate. Non picchiavo forte, giusto quel tanto che mi desse piacere senza però lasciarle dei segni o rischiare di farle del male. Le abbassai le mutandine facendogliele scivolare fino alle caviglie e le diedi qualche cinghiata sulle chiappe fino a farle arrossare. Poi sedetti sulla poltrona e me la misi sulle ginocchia, sdraiata a pancia in giù. La sculacciai fino a farmi male alle mani e smisi solo quando, con un piacere mai provato prima, mi inondai mutande e calzoni con una sborrata interminabile che mi lasciò privo di forze.
Lei aspettò qualche istante che mi calmassi, poi si rialzò, si rivestì e, come se nulla fosse, mi versò un bicchiere di cognac.
Va meglio? – mi domandò porgendomi il bicchiere.
Si, molto meglio. Ti ho fatto male?
No, non ti preoccupare. Brucia un po’, ma niente di grave.
Mi dispiace, scusami.
Sono io che te l’ho proposto. Togliti i calzoni, guarda che casino hai fatto.
Erano completamente fradici, dovevo avere sborrato davvero tanto.
Mi sfilai i calzoni e glieli porsi. I boxer erano ridotti anche peggio.
Togliti anche quelli che li metto in lavatrice.
Ai boxer ci penso io.
Mi vergognavo di farmi vedere nudo, col cazzo ormai molle e gocciolante.

Per molti giorni ripensai a quanto era successo. Dissi a me stesso che la cosa non avrebbe più dovuto ripetersi, ma si sa che la carne è debole.
Così, una sera in cui ero arrapato come una bestia e avevo i coglioni doloranti da tanto che erano gonfi, presi Pilar e la portai in soggiorno senza dire una parola.
Lei, che sapeva benissimo il perché, si abbassò i jeans e si inginocchiò sulla poltrona.
Quando mi sfilai la cinghia e mi accinsi a picchiarla mi fermò.
Perché non ti levi i calzoni – mi disse – così non li sporchi.
Oltre tutto – aggiunse – secondo me ti svuoti anche meglio. Anzi, già che ci sei, levati anche i boxer.
Rimasi un attimo perplesso. Poi pensai che avesse ragione.
Non ti dispiace?
Certo che no.
Mi sfilai tutto e il cazzo poté finalmente drizzarsi libero davanti a me. Era duro come il marmo e dritto come un fuso.
Lei gli diede una sbirciatina con la coda dell’occhio.
Accidenti! – fece – che attrezzatura!
Confesso che provai un certo imbarazzo. Il mio cazzo non è particolarmente grosso ma i coglioni sono davvero notevoli, grossi come uova e capaci di produrre quantità impressionanti di sperma.
Ero così eccitato che non sapevo da che parte cominciare. Iniziai sfilandole del tutto i jeans, poi le sfilai anche le mutandine. A quel punto le tolsi anche la maglietta e le slacciai il reggiseno che cadde a terra.
La feci rialzare.
Fatti guardare – le dissi.
Era una meraviglia. Grandi poppe rivolte all’insù, pancino piatto, il pelo pubico biondo e sottile.
Cosa mi vuoi fare? – mi domandò guardando il cazzo ritto che puntava contro di lei.
Oramai avevamo perso ogni remora.
Preferisci picchiarmi o vuoi che ti faccia godere io?
Non lo so.
Era vero. Ero talmente infoiato che non sapevo neppure io in che modo avrei voluto godere.
Ti piaccio? – mi domandò.
Da impazzire.
Lo vedo. Guarda come guizza quel tuo affare. Si muove come se avesse preso la scossa.
Sono tanto arrapato, bambina mia. Mi fanno persino male i coglioni, sapessi come sono gonfi.
Allora vieni qua, babbo, che li svuotiamo. Te li svuota la tua Pilar. Dopo, se hai ancora voglia, mi potrai picchiare.
Mi fece sedere in poltrona, si inginocchiò ai miei piedi, e mi abbrancò la mazza con la destra, mentre con la sinistra prese a massaggiarmi le palle.
Senti, senti com’è duro – disse facendo scorrere la pelle e scoprendo la cappella – e senti senti come sono gonfi questi due coglioni.
Fammi godere bambina mia, fammi godere, ne ho tanto bisogno.
Adesso la tua Pilar ti tira un bel raspone, vedrai che dopo starai meglio.
Si, brava, tirami un bel raspone, fammi fare una bella sborrata. Vedrai che schizzi!
Era brava, dio se era brava. Me la sapeva lisciare bene la nerchia mentre io le impastavo le poppe a piene mani.
Quando la mia mazza prese a sbavare capì che stavo per venire.
Ci siamo vero? – domandò.
Si ci siamo, sto per godere.
Dove vuoi godere?
La guardai interrogativo.
Mi vuoi godere addosso?
Oh si, mi piacerebbe tanto!
Mi vuoi sborrare sulle poppe?
Si brava, fammi sborrare sulle tue belle poppe.
Allora aspetta che mi metto in posizione.
Si tirò un po’ su in modo che la testa del cazzo puntasse dritta contro le sue poppe, a circa mezzo metro di distanza.
Fammi vedere come spruzzi – disse – fai vedere alla tua Pilar una bella sborrata. Sporcala tutta la tua bambina, sporcale tutte le poppe con la tua sborra.
Era troppo. Il cazzo stava sbavando a ritmo continuo, le sue mani erano tutte imbrattate di bava bianca e collosa.
Mi inarcai sulla poltrona e mentre lei, al ritmo giusto, mi finiva, le lanciai addosso una tale quantità di sborra da fare spavento. Mai avevo goduto con tale violenza, mai i miei schizzi erano stati così lunghi e potenti. Mai avevo scaricato così tanta sborra addosso ad una donna. Altro che poppe! La innaffiai completamente dalla testa ai piedi, la sporcai tutta. Il viso, i capelli, le tette, il pancino, le gambe, perfino i suoi bellissimi piedini erano imbrattati di sborra. Un casino!
Woow – fece lei mentre le lanciavo addosso i miei schizzi – così, bravo, spruzzami tutta. Così, ancora, ancora!!

Durante la cena parlammo come al solito del più e del meno e dopo sedemmo fianco a fianco sul divano del tinello a guardare la televisione.
Ricordo che davano un noiosissimo film di guerra e che, ad un certo punto, ripensando a quanto era successo qualche ora prima, mi riprese la foia.
Avevo il cazzo durissimo e mi sentivo ribollire i coglioni. Guardai Pilar seduta al mio fianco. Era davvero bella. Le dissi che avevo nuovamente bisogno di sfogarmi e lei mi sorrise.
Cosa ti piacerebbe fare? – mi domandò.
Vorrei picchiarti un poco, solo un poco, tanto per eccitarmi, e poi vorrei di nuovo sborrarti addosso.
Come vuoi babbo.
La spogliai completamente e mi tolsi calzoni e mutande. Il mio cazzo duro, con la testa ancora incappucciata, svettava davanti a me, a pochi centimetri dal suo viso.
La picchiai per qualche minuto, poi la feci sdraiare sul divano e la leccai tutta, dalla testa ai piedi. Le leccai il viso, il collo, le orecchie, le poppe, il pancino. La feci voltare e le leccai la schiena, il dietro delle cosce. La feci inginocchiare e le leccai il culo, quelle belle chiappe rotonde e sode. Passai la lingua all’interno del solco che le divideva ed incontrai il buchetto del culo. Leccai anche quello per poi passare alla passera, che era bagnata fradicia. Stavo godendo come un maiale ed il mio cazzo sbavava come un rubinetto aperto.
Stava godendo anche lei e me lo disse. La feci nuovamente voltare ed affondai il viso tra le sue cosce. Le mangiai la passerina fino a farla venire.
Quando si fu calmata dal violento orgasmo che la scosse tutta ripresi a leccarla su tutto il corpo. Me la volevo godere a lungo prima di svuotarmi.
Presi in bocca i suoi deliziosi piedini e glieli ciucciai dito per dito. Poi mi sdraiai a terra e le dissi di sedersi sul mio viso. In questo modo le allargai bene le chiappe e potei, con un lungo lavoro di lingua, dilatare il buchetto del suo culo. Lei mi aiutava spingendo ritmicamente e ben presto potei infilare la lingua nel suo buco del culo e leccarne l’interno.
Adesso ero pronto e la feci sistemare sul divano piazzandole la testa del cazzo davanti al viso.
Lei abbrancò la mazza con entrambe le mani, scoprì completamente la cappella e se la imboccò. Mai pompino fu più delizioso, mai lingua fece miglior lavoro sui bordi esterni della cappella. Mentre io le palpavo le poppe lei mi ciucciava la testa della mazza che seguitava a sbavare imbrattandole le labbra.
Mi sfilai dalla sua bocca e le leccai le labbra e le ciucciai la lingua. Sapevano di cazzo e di bava di cazzo.
Prima di sborrare volli picchiarla ancora un poco. Fattala inginocchiare sul divano col culo per aria, la presi a cinghiate sulle chiappe nude e mi eccitai talmente tanto che sentii la sborra sgorgarmi impetuosa dai coglioni, gonfi da fare paura.
Feci appena in tempo a farla voltare e a puntarle la testa del cazzo ad una trentina di centimetri dal viso. E sborrai, accidenti se sborrai! I miei schizzi spessi e cremosi, potenti e lunghissimi la colpirono come schiaffi sul suo bel visino proteso ad accoglierli.
Rideva divertita di fronte a quella manifestazione di potenza e mi incitava a dargliene ancora.
Sborra babbo, sborra. Sborra sul viso della tua Pilar, sporcala tutta con la tua crema calda.
E più mi incitava, più gliene davo. Pareva che i miei coglioni fossero inesauribili. Schizzo dopo schizzo il suo bel volto stava diventando una maschera bianca di crema spessa che le colava dappertutto imbrattandole il collo, le poppe e colando per tutto il corpo.
Mioddio che sborrata! – fece infine quando mi fui completamente svuotato – che sborrata! Non credevo che un uomo potesse buttarne tanta e con tanta violenza! Babbo sei un fenomeno, buttavi come un cavallo, guarda come mi hai ridotta! E scoppiò a ridere.
Era stata davvero una sborrata colossale e risi anch’io con lei, finalmente appagato.

Il giorno seguente dovetti partire improvvisamente per lavoro. Stetti fuori per quasi dieci giorni e quando tornai Pilar venne a prendermi all’aeroporto.
Arrivati a casa feci una doccia e mi cambiai d’abito. Quando la raggiunsi in tinello, finalmente rinfres**to, mi attendeva una sorpresa. Si era cambiata anche lei ed appariva uno splendore.
Indossava un abito da sera nero che le fasciava il corpicino perfetto ed un paio di quei sandaletti scollati e con un poco di tacco che a me fanno tanto arrapare e si era anche leggermente truccata.
Dopo dieci giorni di astinenza quella vista mi fece ribollire il sangue nelle vene e sentii la mazza farsi dura come il ferro.
Come sei bella – le dissi.
Grazie, l’ho fatto per te. Ero sicura che avessi voglia di sfogarti.
E, senza aggiungere altro, mi aprì la patta dei calzoni, vi infilò una mano e ne estrasse la mazza.
Senti com’è dura, disse. E chissà come sono gonfi i tuoi coglioni. Adesso la tua Pilar ti fa fare una bella sborrata e te li svuota per bene.
Mi piace la testa del tuo cazzo – aggiunse facendo scorrere la pelle del cazzo e scoprendo la cappella – è così lucida, liscia e umida. Guarda come sono rialzati i suoi bordi – disse inoltre passandoci sopra i polpastrelli.
Col cazzo fuori dai pantaloni la feci inginocchiare sul divano, le rialzai il vestito sulla schiena, le abbassai le mutandine alle caviglie ed affondai il viso tra le sue chiappe.
Ti piacerebbe rompermi il culetto? – mi domandò mentre leccavo e lappavo il suo buco del culo.
Da morire – le risposi.
Allora lavoramelo bene con la lingua mentre io spingo e cerco di dilatarlo.
A poco a poco il suo buchetto si aprì come un fiore e potei infilarci la punta della lingua e leccarne l’interno.
Adesso sono pronta, babbo, rompimelo, dai, infilami nel culo la tua mazza.
Non ancora, aspetta, prima mi voglio godere un poco il tuo bel corpicino.
Mi sfilai la cinghia dei calzoni e la picchiai per qualche minuto, poi la spogliai e la leccai tutta. I suoi piedini mi facevano impazzire e li tenni a lungo in bocca.
Leccai e ciucciai le sue poppe, i suoi capezzoli rosati. La baciai in bocca e nelle orecchie. Le leccai la figa fino a farla godere.
Poi lei mi tolse tutti i vestiti e volle leccarmi tutto. Mi fece perfino inginocchiare e, col viso tuffato tra le mie chiappe, mi leccò il buco del culo mentre mi massaggiava i coglioni e mi lisciava la mazza.
Quando sentii che stavo per sborrare la feci smettere.
Vado a prendere della crema, le dissi.
Tornai con un tubo di crema che mi spalmai ben bene su tutto il cazzo, poi unsi bene anche il suo buco del culo, infilandoci due dita e lubrificandone bene l’interno.
La feci inginocchiare sul divano e le dissi di spingere ritmicamente mentre io le massaggiavo il buchetto rosato.
Dopo qualche minuto si era aperto e potevo comodamente infilarci tre dita.
Mi piazzai dietro di lei e appoggiai la testa del cazzo alla sua apertura posteriore.
Soffocando delle grida di dolore lei mi incitò a penetrarla e, a poco a poco, delicatamente, vidi la mia mazza sparire completamente tra quelle due chiappette tenere e sode.
Quando mi fui infilato fino ai coglioni cominciai a pomparla, dapprima piano piano e con dolcezza, poi sempre più velocemente e rudemente.
Quando mi accorsi che la strada era fatta e lei non si lamentava più, le montai letteralmente in groppa e me la inculai come un califfo, pompandola con violenza e affondando sempre di più. Avrei voluto infilarci anche i coglioni tra quelle chiappe.
Dio che inculata! Abbrancato alle sue spalle con entrambe le mani la montavo furiosamente dicendole le cose più porche che mi venivano in mente mentre lei mi incitava ad affondare sempre di più, mi chiedeva di spaccarle il culo.
Montami, babbo, montami! Rompimi il culo, sfondamelo con la tua mazza. Dio come mi piace sentirti affondare nel mio culo, sentire il tuo cazzo che ravana nei miei sfinteri, sentire i bordi della tua cappella che raschiano le mie pareti interne. Chiavami il culo, babbo, voglio sentirti sborrare nei miei sfinteri, riempirmeli tutti di sborra.
E così fu. Glieli riempii, eccome se glieli riempii! Dopo dieci giorni di astinenza ed una inculata del genere le scaricai in culo una tale quantità di sborra che, appena sfilai il mio cazzo ancora gocciolante, dovette correre in bagno.
La seguii per assistere mentre si scaricava rumorosamente gli sfinteri.
Accidenti – disse – mi hai fatto un clistere – e scoppiò a ridere rilasciando un’altra scarica.
Ti fa male? – le domandai.
Un poco, ma non ti preoccupare. Ormai è rotto e te lo puoi prendere quando vuoi.
Anche adesso?
Certo, anche adesso. Fammi fare un bidet e, se vuoi, ti do di nuovo il culo.
Il bidet glielo feci io, poi mi accomodai sul water e me la feci sedere sul cazzo, di nuovo ritto e duro come il marmo.
Reggendola per le chiappe me la feci scorrere a lungo su e giù per tutta la lunghezza del cazzo fino a quando non sentii che stavo per sborrare nuovamente.
Sfilati dal cazzo – le dissi – questa sborrata voglio dartela in faccia.
Come vuoi babbo.
Si inginocchiò ai miei piedi e mi finì con la bocca. La seconda sborrata fu meno potente e meno violenta dell’altra, ma sempre notevole, e se la prese tutta in faccia.

Nei giorni seguenti fu Pilar ad andarsene. Era stata invitata al mare da un’amica ed io la accompagnai al treno.
Furono per me giorni di grande solitudine ed ebbi modo di ripensare spesso a quanto era successo.
Quando, al suo ritorno, andai a prenderla alla stazione, mia figlia era bellissima. Abbronzata, rilassata, leggermente ingrassata.
Mentre la riportavo a casa non riuscivo a staccare gli occhi dalle sue cosce, che lei offriva generosamente al mio sguardo.
Dopo una doccia rinfrescante mi raggiunse in soggiorno, dove mi raccontò della sua vacanza. Mi disse di avere conosciuto un ragazzo e ne fui un po’ geloso. Comunque mi feci raccontare tutti i particolari della loro storia, eccitandomi non poco a sentirla descrivere dettagliatamente tutto quello che facevano.
Questo tale era sempre arrapato e Pilar doveva farlo godere quattro o cinque volte al giorno. Aveva un cazzone enorme, mi disse, e due palle gigantesche. Giovane com’era – aveva la sua stessa età – sborrava in continuazione, lanciando schizzi lunghissimi.
Quei racconti mi avevano eccitato e glielo dissi.
Mi chiese se in quei giorni mi fossi svuotato le palle.
Le risposi che avevo aspettato il suo ritorno.
Bene – fece lei – allora ci penso io. Cosa ti piacerebbe?
Non lo so, fai tu.
Preferisci picchiarmi, vuoi che ti faccia un pompino o vuoi rompermi il culetto?
Tutto – le risposi.
Lei rise, poi mi si offrì.
Fammi quello che vuoi – disse – puoi farmi tutto quello che vuoi.
Per prima cosa la spogliai e rimirai il suo corpicino perfetto, poi la feci sdraiare sul divano e la leccai tutta.
Quando affondai il viso tra le sue cosce spalancate ed annusai il profumo ed assaporai il gusto della sua fighetta fui li li per godere, ma mi trattenni e la feci mettere a pecorina per poterle leccare il culo.
Allargai bene le chiappe con le mani e cercai di penetrarle l’ano con la lingua mentre mi facevo raccontare di come il suo ragazzo del mare la innaffiava di sborra quando andavano a nascondersi dietro le cabine e lei gli menava la fava.
Avessi visto, babbo, sborrava come un cavallo, peggio di te. Certe sere dovevo tirargli due o tre seghe di seguito per farlo calmare ed ogni volta mi scaricava addosso delle secchiate di sborra. Gli piaceva tanto sborrarmi sul viso e a volte tutti quegli schizzi mi toglievano il respiro. Qualche volta usciva con noi anche la mia amica perché lei non aveva il ragazzo, e allora lo facevamo godere in due. Lei se lo faceva mettere nel culo, ma io aveva pura perché aveva il cazzo troppo grosso. La mia amica, invece, non si faceva problemi. Mi ha raccontato che a casa sua se la inculano tutti in continuazione e che ormai può prendere qualsiasi cosa senza problemi. Se la incula il padre, il nonno ed uno dei fratelli. La madre lo sa ma non dice nulla. Da giovane c’è passata anche lei, dice.
Una sera che sono rientrata prima del solito ho assistito, non vista, ad una di queste inculate di gruppo.
Bè, non ci crederai, ma quello che se la inculava con più gusto era proprio il nonno. E’ ancora giovane e ha una stanga mica da ridere. L’ha fatta mettere alla pecorina e se l’è inculata in un colpo solo, poi le è montato in groppa e se l’è cavalcata per un buon quarto d’ora. La teneva per le orecchie e affondava fino ai coglioni. Avresti dovuto vedere che inculata! Poi si è sfilato dal culo e, col cazzo duro e dritto, l’ha picchiata su tutto il corpo. L’ha riempita di botte poi se l’è seduta sul cazzo e alè, di nuovo su e giù per il culo.
Quella disgraziata non riusciva a farlo venire, si lamentava ilnonnoi, e giù altre botte. Alla fine, picchiandola sempre più forte, è riuscito a godere. Ho potuto assistere alla sborrata perché se l’è sfilata dal cazzo e l’ha innaffiata sul viso con una bella sborrata, lunga e potente. Dopodiché le ha leccato il viso e si è mangiato tutta la sua sborra.
Nel frattempo il papà ed il fratello, che assistevano a quella cavalcata furiosa nel culo della mia amica, si erano arrapati come bestie e si stavano menando furiosamente il tarello. Quando il nonno ha goduto, hanno goduto anche loro, sicché nella stanza volavano schizzi di sborra dappertutto. Mi sono ritrovata con le mutandine fradice e avrei dato qualsiasi cosa per averne un po’ anch’io. Mi sono dovuta tirare due ditali prima di calmarmi.
Il nonno ci ha provato anche con me, ma io non ci sono stata. Poi, per compassione ho acconsentito a tirargli una sega mentre lui leccava la figa alla mia amica.
E poi? – dissi io a quel punto. Quei racconti mi eccitavano e volevo sentirne ancora.
Poi sono partita.
Visto che i racconti erano finiti sfilai il viso dalle sue chiappe e le diedi la cappella da ciucciare. Pensai che non me l’avesse raccontata giusta. Doveva avere fatto parecchia pratica perché mi stava spompinando come una vera professionista.
Glielo dissi e lei, staccandosi un attimo dal mio cazzo, ammise che era così. Confessò di avere conosciuto anche uno zio dell’amica, un bellissimo e affascinante vedovo col quale faceva lunghe passeggiate sulla spiaggia e che, dopo qualche passeggiata, l’aveva convinta a seguirlo in camera sua dove le aveva fatto di tutto.
Era bellissimo, papi, e bravissimo. Sapeva farmi godere in continuazione ed io gli ho lasciato fare tutto quello che voleva.
E cioè? – domandai seccato.
Mi ha baciata, leccata, scopata, inculata. Me lo ha messo dappertutto, era insaziabile. Mi cavalcava la figa e il culo in continuazione, in tutte le posizioni, facendomi godere come una vera maiala. Aveva il cazzo lungo e sottile, liscio come seta ma duro come un randello, e mi faceva godere di figa e di culo. Godeva in continuazione anche lui e quando lasciavo la sua stanza dovevo farmi due docce e profumarmi per togliermi di dosso l’odore della sua sborra. Abbiamo fatto ogni genere di maialata, a volte anche con la mia amica. Gli piaceva guardarci mente ci leccavamo la figa, le tette, mentre ci baciavamo in bocca. Poi una gli ciucciava la cappella mentre l’altra gli leccava i capezzoli o il buco del culo. Ci ciucciava i piedi, a volte ci pisciava anche addosso. Ci picchiava entrambe con la cinghia e poi ci inculava a turno. Mentre ne inculava una leccava la figa all’altra. Ci sborrava in faccia, sulle poppe, sui piedi, nel culo. In figa no, per fortuna. Mi piaceva un sacco guardarlo mentre si ingroppava la mia amica affondando furiosamente nel suo culo sfondato o quando le strapazzava la passera col cazzo duro. Ogni tanto lo sfilava dal culo o dalla figa e me lo dava da ciucciare, poi lo affondava di nuovo. Quando inculava me la mia amica si sgrillettava la passera e intanto mi leccava la figa. Dio quanto ho goduto.
Abbiamo fatto anche un’orgia. Una sera ha portato cinque amici ed io e la mia amica ce li siamo fatti tutti. Quelli credevano di sognare. Due belle ragazze a loro disposizione, non gli pareva vero. Erano tutti maturi ma ben dotati. Ci hanno chiavate e inculate fino a distruggerci. In certi momenti avevo quattro o cinque cazzi duri che si davano da fare sul mio corpo e non avevo un buco libero. Ho ciucciato cappelle, coglioni, capezzoli, piedi, buchi di culo. Ho leccato orecchie, labbra, lingue. E ho preso tanta di quella sborra da non scordarmene finché vivo. Ad un certo punto sono arrivati anche due ragazzi bellissimi, con corpi perfetti e cazzi stupendi. Però non erano per noi, erano per quei maiali che se li sono leccati tutti e poi se li sono inculati a turno. Dovevi vedere come se li disputavano e come affondavano nei loro culi. Li baciavano anche in bocca e ciucciavano le loro grosse cappelle, gli leccavano i capezzoli. E quando i ragazzi godevano quei maiali bevevano la loro sborra.
E tu? – mi domandò lei – in tutti questi giorni sei rimati a stecchetto?
Purtroppo si.
Bè, adesso ti puoi rifare – gli disse la figlia ammiccante – la tua Pilar ti farà godere fino a sfinirti. Forza paparino, preparati a farti le più belle sborrate della tua vita. D’ora in avanti mi occuperò io di te.

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